Fonte il Sole 24 ore – 

http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoCivile/2020-03-24/la-privacy-tempo-covid-19-quando-lockdown-non-basta-193154.php

a cura di Luca Giacopuzzi e Francesca R. Pagliaro, Studio legale Giacopuzzi

L’emergenza sanitaria conseguente al Covid-19 ha imposto l’adozione di stringenti misure di distanziamento sociale. Conseguentemente vi è la necessità di vigilare sul rispetto degli obblighi restrittivi imposti dalle autorità, ma il tema impatta sui diritti e le libertà individuali degli interessati e, quindi, deve confrontarsi con la disciplina della privacy.

Sotto questo profilo, da più parti si richiamano e si invocano strumenti di geolocalizzazione sul modello “cinese” (seguito da diversi paesi asiatici), volti a monitorare gli spostamenti dei cittadini, in particolare di coloro che sono risultati positivi al virus e si trovano in isolamento domiciliare.

Ma sarebbero ammissibili simili misure in un ordinamento democratico quale il nostro, in cui la libertà individuale rappresenta un valore costituzionalmente rilevante?

La risposta non può che muovere da due principi fondamentali, ben noti a chiunque abitualmente tratta di privacy: necessità e proporzionalità.

L’emergenza di questi giorni per certi versi legittima la compressione di diritti e libertà individuali, come è stato per la libertà di circolazione dei cittadini, sottoposta a rigorose misure restrittive.

Anche la “privacy” dei cittadini non può sottrarsi a tale sacrificio (così come previsto dall’art. 15 della Direttiva ePrivacy e come ribadito dall’EDPB, European Data Protection Board, con propria dichiarazione del 19 marzo), ma tale compressione deve essere commisurata ad una effettiva necessità e alla proporzionalità delle misure che si intendono adottare.

In ogni caso va sottolineato – perché su questo tema si è acceso, invece, un dibattito che, normative alla mano, non ha ragion d’essere – che misure di localizzazione anonime (che monitorano lo spostamento dei cittadini, in forma aggregata, senza poter risalire all’identità degli stessi, come effettuato in questi giorni in Lombardia) ovvero sistemi di rilevazione della temperatura corporea volti a inibire l’accesso agli esercizi commerciali a clienti febbricitanti (prevista dall’ordinanza della Regione Lombardia del 21 marzo), non pongono alcun problema di privacy, perché il dato personale è solo quello riconducibile a una persona identificata o identificabile. Se, dunque, il dato relativo allo spostamento sul territorio o alla temperatura non sono trattati in associazione all’identità del soggetto al quale si riferiscono, non c’è trattamento di dati personali. E ogni “implicazione privacy” cade in radice.

Nessun cortocircuito normativo, quindi, per l’analisi dei big data oggetto di geolocalizzazione anonima (ricavabili dalle fonti più disparate: smartphone, GPS degli autoveicoli, data mining dei social network, ecc.): questa “sorveglianza sanitaria” è del tutto conforme ai principi di legge del nostro ordinamento. E ove il Parlamento, in sede di conversione del D.L. del 9 marzo, introducesse disposizioni normative ad hoc, vi sarà anche la possibilità di monitorare gli spostamenti dei soggetti positivi al Covid-19 risalendo all’identità degli stessi, seppur nel rispetto dei principi privacy sopra richiamati.