NO DELLA UE AL REVERSE CHARGE NEI RAPPORTI TRA CONSORZIATI E LORO CONSORZI

A distanza di 2 anni e mezzo è intervenuta la Commissione Europea per affermare che dal momento che l’Italia non ha dimostrato la necessità della misura di deroga al fine di evitare le frodi o semplificare le procedure per i soggetti passivi e/o per le amministrazioni la richiesta non soddisfa le condizioni di cui al suddetto articolo.

Come è noto la Legge di Stabilità 2016 ha aggiunto una nuova lettera a-quater) al comma 6 dell’articolo 17, D.P.R. 633/1972 al fine assoggettare al regime del reverse charge anche le prestazioni effettuate dalle consorziate nei confronti di consorzi che, essendo fornitori della P.A., applicano l’Iva in regime di split payment.
L’intervento normativo, come anche ribadito in sede parlamentare, persegue l’obiettivo di alleviare gli effetti finanziari prodotti in capo ai fornitori della P.A. a seguito della introduzione del meccanismo noto come “split payment” nell’articolo 17-ter del Decreto Iva.
Relativamente a tale disposizione, tuttavia, occorre evidenziare che affinché la stessa possa esplicare efficacia, è necessario che il Consiglio dell’Unione europea autorizzi la misura speciale di deroga di cui all’articolo 395, Direttiva 2006/112/CE, nel quale si afferma che “il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro ad introdurre misure speciali di deroga alla presente direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali”.

Come precisato infatti dall’Agenzia nella circolare n. 20/E/2016, la previsione in commento necessita di una preventiva autorizzazione da parte degli organismi europei, non rientrando fra le operazioni per le quali gli Stati membri possono stabilire, senza alcun limite temporale, che il soggetto tenuto al versamento dell’Iva sia il cessionario o il committente in luogo del cedente o prestatore (si veda articolo 199 della Direttiva 2006/112/CE), né fra quelle – a carattere temporaneo – per le quali gli Stati membri possono prevedere l’applicazione del meccanismo del reverse charge fino al 31 dicembre 2018 e per un periodo minimo di due anni (si veda l’articolo 199-bis della Direttiva 2006/112/CE).
In attesa di detta autorizzazione la richiamata circolare n. 20/E/2016 aveva precisato che i consorzi, a cui si riferisce la norma in esame, sono unicamente quelli indicati dall’articolo 34, comma 1, D.Lgs. 163/2006, ossia:

  • i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro;
  • i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell’articolo 2615-ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro;
  • i consorzi ordinari di concorrenti di cui all’articolo 2602, cod. civ..

Secondo l’Agenzia delle entrate debbono, pertanto, ritenersi esclusi dall’ambito applicativo della disposizione in argomento:

  • i raggruppamenti temporanei di imprese di cui all’articolo 37, D.Lgs. 163/2006;
  • le imprese aderenti al contratto di rete di cui all’articolo 3, comma 4-ter, D.L. 5/2009, convertito con modificazioni dalla L. 33/2009.

A distanza di 2 anni e mezzo dalla introduzione della lettera a-quater) al sesto comma dell’articolo 17, D.P.R. 633/1972 è intervenuta la Commissione Europea con la Comunicazione n. 484 del 21 giugno 2018 per affermare che “dal momento che l’Italia non ha dimostrato la necessità della misura di deroga al fine di evitare le frodi o semplificare le procedure per i soggetti passivi e/o per le amministrazioni fiscali a norma dell’articolo 395, Direttiva Iva, la richiesta non soddisfa le condizioni di cui al suddetto articolo”.
A questo punto il Governo Italiano dovrà decidere se adeguarsi alla posizione espressa dalla Commissione Europea e quindi promuovere le azioni volte alla rimozione della citata previsione normativa oppure presentare nuove argomentazioni a sostegno della necessità di detta misura.